25 marzo 2023

“Perché fiorire si può e si deve, anche in mezzo al deserto”

Abbiamo sorvolato Paesi africani dai mille racconti. Laggiù, oltre le nuvole, l’isola di Bata, di fronte alla Guinea Equatoriale. Ce la indica Ignace (vi racconterò nel corso della missione chi sia il nostro Ignace Bikoula): “In Camerun ci sono le mie storie. Su quell’isoletta fu costretto all’esilio il mio bisnonno Nanga Eboko, nazionalista, oppositore della dominazione tedesca. E qui morì. Da solo”. Siamo nei primi anni dell’Ottocento. Anni Trenta.

Sbarchiamo. Togo. Lomé. All’aeroporto Gnassingbé Eyadéma ci accoglie Stella con fresie colorate. E’ la direttrice della Maison des Cooperatives. E’ bella, elegante, giovane, ha 31 anni e un piglio aristocratico. Viene dal Burkina Faso ed è laureata in Diritto internazionale. Il presidente della Maison, Badouin, un bel ragazzo con cappellino da basket e camicia colorata a fiori, 27 anni (“sono un adulto” mi dice), anche lui all’aeroporto con Stella, si è laureato in Finanza.

Lo dico perché uscivamo dalle pratiche aeroportuali piuttosto provati. Situazioni kafkiane che si sono succedute, che hanno ritardato e dilatato i tempi tra controlli, altri (incomprensibili) controlli e ancora controlli incrociati di documenti ai quali i giovani operatori alla dogana sembravano dare un senso ben diverso dal nostro. Surreale, è l’unica cosa che mi viene in mente. Circa due ore spese così. Inutilmente direi. Tempi che non corrispondono ai nostri occidentali, europei.

Siamo in Africa Occidentale, sul Golfo del Benin. E allora, forse, questo ha un senso. Perché, alla fine, tutto finisce con un sorriso e (quasi) una paternalistica pacca sulla spalla. Di fronte alla nostra incredulità. Al nostro (qui non comprensibile) nervosismo.

Ma usciamo, appunto, e ci sono loro. La Maison des Cooperatives è l’Agenzia per la promozione dell’imprenditorialità cooperativa, è partner del progetto Le BCC per il Togo del Credito Cooperativo italiano. Rientra nel progetto di formazione all’imprenditoria cooperativa togolese. La storia è questa: nel 2011-12 nasce l’associazione APES, l’Associazione dei giovani per una economia solidale. Ne è presidente Badouin.

Sono tutti giovani laureati. In Togo, il tema del lavoro per i giovani non trova soluzione da parte dello Stato. Le imprese classiche sono dominate da logiche di politica clientelare. E il 90 per cento della popolazione ha meno di 25 anni. In quegli anni, i giovani togolesi scoprono l’economia sociale e solidale. E si rivolgono al Credito Cooperativo italiano per essere supportati in conoscenza, cultura e know how cooperativo.

Anche il Governo, in particolare il Ministero per lo Sviluppo alla Base. All’epoca in APES erano 40 giovani aspiranti imprenditori o titolari di microimprese. Trenta, di cui dieci di APES, cominciano per volontà del Ministero la formazione grazie ad un accordo di due anni di cooperazione tecnica stipulato dal Credito Cooperativo italiano. Viene strutturato un percorso biennale di accompagnamento per fornire ai giovani una cassetta degli attrezzi adeguata. Nel 2016 dal Credito Cooperativo, in particolare da Iccrea Banca, arriva una donazione. Sono 5 mila euro. Con il 70 per cento dei quali APES inizia un’azione di microcredito. Lo so, sembra poco, pochissimo. Ma anche qui, proprio come in Ecuador, ci dice Ignace che “con poco si può fare molto”. E’ una regola universale, per lo meno in questi Paesi.

Nel 2019 APES capisce che serve un soggetto che supporti le imprese cooperative. Nasce La Maison des Cooperatives per i giovani e per le donne. Struttura snella. Lavorano soprattutto on line. Sono una trentina di cooperative e associazioni e imprese informali. C’è Stella a dirigere.

I partecipanti alla nuova missione in Togo del Credito Cooperativo

Lunedì, se tutto va come deve andare, incontreremo la Ministra per lo Sviluppo alla Base (e con delega per le politiche giovani), Signora Myriam Dossou-D’Almeida.

29 gradi. Tanta, tantissima umidità. Ma è una buona stagione per noi europei. Il caldo è sopportabile.
Lomè ha una topografia complessa, si fa fatica a districarsi. Strutture di epoca coloniale di inizio del 900 si alternano a tanti centri commerciali e a una mescolanza di aree abitative. La chiave di lettura più semplice da usare è quella del contrasto, contrasto tra benessere e malessere che si trova ovunque. Le ville di standard europeo si trovano nel mezzo del disagio dello slum. L’economia è informale, il commercio al dettaglio caratterizza tutte le strade che percorreremo per dirigerci in albergo. Qui le strade sono pulite. Ma troveremo strade più “difficili”. Spesso, basta voltare un angolo.

La spiaggia di Lomè. Sullo sfondo, il porto commerciale.

Poco distante dall’aeroporto, a destra, la zona di ministeri ed ambasciate. A sinistra, la città universitaria. Vanno tutti in moto, obbligatorio il casco solo per chi guida. Tutti gli altri, spesso tanti altri, anche neonati, viaggiano senza casco. Intere famiglie coloratissime. Un bambino in mezzo, uno davanti, mamma e papà. Vendono noci di cola per strada. Si masticano con pazienza e con una certa tecnica e diventano dolci, ricoprono il palato ed esaltano così le bevande. “Un percorso iniziatico” lo chiama Ignace.

Il primo albergo è in una strada sterrata. Noi attendiamo – ancora – alla reception. Le iguane ci corrono tra i piedi. In realtà mi dicono che si tratta di lucertole. Fidatevi, non hanno nulla delle nostre lucertole. Per lo meno, non le dimensioni. Arriva Esso, anche lui giovanissimo, è il responsabile delle operazioni della Maison. Si chiama Esso anche il nostro autista che ci accompagnerà nel nostro viaggio.

Insieme, ci dirigiamo al Grand Marché. Sul mare. Per strada ballano e cantano, ci sono feste ovunque. Le famiglie mangiano sedute ai tavoli di legno dei maquis lungo le strade. Ora c’è più caldo. Tanto umido. Il cielo è una cappa. Per strada vendono di tutto. Ovunque. Senza soluzione di continuità. Vedo troni dorati. Divani sontuosi. E tanti dolciumi. Moto e motorini. Pneumatici. Abiti da spose. Stoffe di ogni genere. Strumenti musicali. Manghi, che in questo periodo dell’anno sono ancora verdi ma a maggio diventeranno succosissimi. Le donne hanno treccine colorate. Anche le bambine. Ci salutano. Mangiano cose incomprensibili. Forse lo capirò nei prossimi giorni. Alla radio sull’autobus parlano in Ewe.

Il traffico disordinato della capitale togolese

Arriviamo al mercato. Le donne portano sulle teste i fougan, enormi vassoi con pesce, carne, mais

Passiamo in mezzo alle macchine. C’è odore di smog. Suonano tutti il clacson.

Il mercato si sviluppa intorno alla cattedrale cattolica, costruita con mattonelle di fango cotto. Qui arrivarono i missionari. Fondarono una scuola. E’ il centro focale della città che nasce e si sviluppa tra degrado e strutture moderne. Il sud del Togo è prevalentemente cristiano, l’Islam è al Nord. Ma – ci dicono- la religione tradizionale permane ovunque e gran parte della popolazione togolese continua a praticare il vudù. Il mercato è pieno di feticci, maschere, totem, talismani.

La poi la spiaggia. Una discarica a cielo aperto. Tanti tanti tanti rifiuti. Mancano investimenti per valorizzare questo lungomare. Al largo ci sono i mercantili. Il porto è grande, fondamentale per il commercio estero di questo Paese. Se ne servono anche il Burkina Faso, il Niger, il Mali. Le navi sono scortate, i pirati, soprattutto nigeriani, sono una vera piaga.

Qui vediamo quasi solo uomini. Le donne le abbiamo viste al mercato, qui non ci sono: niente tempo libero per loro.

Torniamo verso l’albergo prima del tramonto. Domani ci aspettano gli altopiani.

(1. continua)

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