“I bancheri di prima istanza (nel periodo della pandemia)”. Con questo titolo ad effetto, il quotidiano britannico “Financial Times”, il 29 agosto – a firma di Brendan Greeley – ha dedicato un ampio articolo alle community banks americane. “Insostituibili” durante la pandemia, capaci di sviluppare numeri “fuori misura” in termini di prestiti alle piccole imprese, soprattutto nelle aree rurali.

E’ sicuramente un segno dei tempi (da valutare con attenzione) questo spazio “non convenzionale” dedicato da quello che è considerato il più prestigioso periodico finanziario europeo alle “community banks”. Qualcosa è indubbiamente cambiato nello scenario finanziario globale con la pandemia. Certamente si nota una rinnovata attenzione al modello delle banche di comunità che hanno potuto evidenziare ovunque maggiore resilienza e la forza dei propri “atout” che sono, ovunque, snellezza di governance, conoscenza diretta della clientela, velocita di reazione. Che il mondo della finanza globale se ne accorga è certamente un fatto positivo.

Nell’articolo di Greeley, in particolare, l’esperienza della Gate City Bank, banca di comunità in una cittadina di 50 mila abitanti a Grand Forks, in Nord Dakota. Da quella banca, come da centinaia di altre Community Banks, è arrivato un sorprendente aiuto durante la pandemia proprio ai lavoratori delle piccole imprese ed a quelli “dimenticati” delle aree rurali americane. “Piccole imprese e i lavoratori autonomi avevano bisogno di prestiti per rimanere a galla, ed era spesso la banca di comunità a fornirli” chiosa Greeley.

Il logo della Gate City Bank, banca di comunità del Nord Dakota

Sin dall’avvio del programma Usa dei “Prestiti a protezione della busta paga” (Paycheck Protection Program), 350 miliardi di dollari in prestiti garantiti dallo Stato a tutela dell’occupazione, sono state proprio le banche di comunità ad agire, da subito, forti della loro capillare presenza sui territori e della snellezza operativa.

Sebbene le banche di comunità detengano solo il 15% del totale dei prestiti nel sistema bancario americano – ricorda il Financial Times – nel primo periodo del Programma hanno coperto il 60 per cento dei finanziamenti previsti. Ed anche dopo che le grandi banche hanno iniziato a parteciparvi, le banche di comunità si sono attestate al 45% del totale. Una similitudine evidente con i volumi che, anche in Italia, le BCC hanno sviluppato nel periodo pandemico sui prestiti garantiti (con una quota di interventi che hanno toccato una quota massima del 14% del totale a fronte di una media del 7% del totale dei prestiti).

Michelle Bowman, componente del Board of Governors della Federal Reserve americana (il massimo organo di governo della Banca Centrale Usa) – intervistata dall’articolista – afferma che le piccole banche locali hanno svolto un ruolo “insostituibile” durante la pandemia. Michelle Bowman, si apprende, è stata essa stessa un “banchiere locale” durante i suoi primi anni di professione in Kansas. “Essere banchiere di comunità è uno stile di vita” chiosa.

Michelle Bowman, componente il Board of Governors della Federal Reserve

Però anche negli Usa le community banks hanno le loro difficoltà. Greeley ricorda che le piccole banche locali hanno avuto (ed hanno tuttora) ritardi nell’adeguarsi alle trasformazioni tecnologiche; che i costi di gestione sono maggiori di quelli delle grandi banche e che la loro clientela sta gradualmente posizionandosi su una fascia alta di età. Nel 1990 c’erano 13.568 banche di comunità negli Usa. Nel primo trimestre del 2020 il loro numero era sceso a 4.624. All’inizio degli anni ’80 detenevano il 38% del totale attivo delle banche statunitensi. Adesso circa il 12%.

Ciononostante, proprio il loro essere vicini alle persone e conoscerle direttamente, come anche l’essere presenti laddove le grandi banche non hanno interesse o convenienza, fa ancora – e tanto – la differenza (“Non cambierei mai banca” dice il titolare di un bar che ha ottenuto rapidamente il prestito dalla Gate City Bank).

Il dato interessante, infine, è che la stessa Federal Reserve si sta interrogando su cosa può essere fatto per garantire non solo la sopravvivenza delle community banks ma anche il consolidamento del loro ruolo di sostegno alle economie locali. Greeley fa, per questo, sapere che la Fed – grazie anche alla provenienza della Governatrice Bowman – sta cercando “i modi migliori per aiutare le banche più piccole a innovare”, nonché di lavorare a “regole” semplificate di reportistica nei confronti delle attività di vigilanza.

Una posizione, questa, da leggere con attenzione anche alla luce di quanto definito, al di qua dell’Oceano, dalla Bank of England che nel Position Paper messo a punto dal vice Governatore Sam Woods nell’aprile scorso, auspica l’adozione di regole bancarie “modulate in base alle dimensioni e alla complessità delle aziende di credito”, distinguendo tra aziende sistemiche e aziende non sistemiche, le non attive a livello internazionale da quelle cross-border. Inserendo di fatto nel dibattito sulla regolamentazione bancaria inglese post Brexit temi quali proporzionalità e adeguatezza.

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