Mai come adesso si parla di diversity o, se vogliamo dirlo all’italiana, di diversità. Valorizzare le differenze culturali, di genere, anagrafiche, ma anche di esperienze, percorsi formativi, provenienze geografiche … – e ancor prima riconoscerle e accettarle – è diventato fondamentale.

Ancora di più per quelle aziende che vogliono essere competitive sul mercato e allo stesso puntare sull’employer branding, ossia essere attrattive per i cosiddetti “talenti”.

Per farlo, però, non basta potenziare il team HR o puntare sulla formazione dei manager, ma bisogna considerare parte dell’azienda una figura come il diversity manager.

Che apparentemente sembra una nuova professione, ma basta fare una ricerca su LinkedIn per vedere che di fatto non è così e che sono diversi gli annunci di aziende che ricercano questa professionalità. Se infatti si vogliono attuare delle politiche D&I (Diversity & Inclusion) non può di certo mancare.

Ma vediamo cosa fa in concreto un diversity manager, qual è il suo ruolo e perché è così importante.

Chi è e cosa fa il diversity manager

Cosa fa un manager della diversità e soprattutto chi è? Il diversity manager è di solito un o una professionista che viene dal mondo HR quindi ha dimestichezza con le persone e le dinamiche relazionali.

Si occupa prevalentemente di individuare nonché far applicare politiche e pratiche di inclusione all’interno dell’azienda per valorizzare le diversità e far sì che possano convivere in maniera armonica.

Al diversity manager, quindi, il compito di favorire l’integrazione di ogni dipendente e collaboratore, indipendentemente dalla sua diversità. Ma non solo: suo è il compito di trattare la diversità come strategica e capire come possa avvantaggiare un’organizzazione e diventarne il suo fiore all’occhiello.

Per fare qualche esempio pratico, valorizzare le differenze generazionali in un’azienda può essere un ottimo modo per attrarre sì persone giovani. Ma anche figure senior ed esperti che, in altri contesti, non si sentono valorizzati, ma anzi sono spesso vittime di ageismo. Termine con cui si indicano le discriminazioni in base all’età che colpiscono, al giorno d’oggi, i lavoratori over 50.

Puntare sulla diversità può voler dire ancora favorire percorsi di carriera chiari e trasparenti in cui si evidenzia come si premiano i dipendenti e quali aspetti l’azienda tiene in considerazione.

Cosa si intende per diversity?

Ma cos’è la diversità o, se vogliamo dirlo strizzando l’occhio agli Anglosassoni, la diversity?

A differenza di quello che si crede, non riguarda solo chi proviene da un paese straniero o appartiene a una determinata etnia, ma il concetto di diversità è molto più ampio. Anzi, secondo le studiose Marylin Loden e Judy Rosener esistono due tipi di diversità:

primarie: che riguardano cioè l’età, il genere, l’etnia, l’orientamento sessuale ecc… che sono naturalmente innate e che pertanto non possono subire delle variazioni;
secondarie: come sono il percorso scolastico, professionale, il reddito percepito, la collocazione geografica, la famiglia, la religione, il ruolo che si ha nella società ecc… Tutti aspetti su cui si può intervenire e che appunto possono cambiare nel corso degli anni.

Cosa può fare il diversity manager: qualche esempio

Individuate le varie diversità, un diversity manager può farsi promotore, insieme all’HR, di varie iniziative e azioni pratiche. Vediamo qualche esempio.

Age diversity

Un diversity manager può valorizzare la diversità legata all’età (age diversity) cercando di riconoscere i punti di forza di ogni dipendente. Come? Parlando con HR e manager affinché nella costituzione dei team si punti non solo sulle diverse competenze, ma anche sull’avere persone che appartengano a generazioni differenti. Un team di questo tipo può essere di grande aiuto in ogni contesto e può incrementare la produttività in modo considerevole.

A metterlo in evidenza uno studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse); un aumento del 10% della quota di lavoratori più adulti, porta a un incremento della produttività dell’1,1% in un anno.

E questo perché si tratta di persone che lavorano in modo più “intelligente” e probabilmente sono più in grado, grazie all’esperienza accumulata negli anni, di gestire situazioni complesse. Non solo: persone più “anziane” possono garantire una sorta di tutoraggio intergenerazionale – così come può accadere l’inverso – che porta a migliorare le competenze di tutti in modo collaborativo.

Lavorare sull’age diversity può voler dire anche mettere in campo alcune azioni “a monte” ossia cercare di favorire iniziative di recruiting che non tengano in considerazione l’età, ma piuttosto il grado di esperienza, i meriti, i traguardi raggiunti e così via.

Disability diversity

Anche nel caso della diversità dovuta alla disabilità – sia essa psichica o fisica – il diversity manager può fare molto, a partire già dall’attività di recruiting. Può lavorare insieme al team HR per comprendere le barriere digitali che scoraggiano le persone con disabilità.

Si può per esempio facilitare il modo di candidarsi, puntare sull’accessibilità e magari migliorare le job description andando nel concreto delle attività che chi otterrà quel ruolo dovrà fare.

Stare seduti per tanto tempo può sembrare scontato se si lavora al computer, ma magari potrebbe essere difficile per chi ha un certo tipo di disabilità, così come lavorare in posti troppo chiusi o affollati. Sono solo degli esempi che però fanno capire come, con piccole azioni, si possa davvero fare tanto per l’inclusione.

Così come, una volta che la persona con disabilità è stata assunta, bisogna cercare di favorire il lavoro ibrido, se questa può essere la modalità più adatta; proporre orari flessibili o ancora utilizzare tecnologie che possano migliorare il lavoro giorno dopo giorno.

Un’app che legge testi per conto degli ipovedenti può dare davvero un grande aiuto, spesso molto di più di quanto potrebbe fare un collega, perché permette a chi ha una disabilità di essere autonomo nell’organizzare il proprio lavoro.

Gender diversity

La diversità legata al genere è qualcosa che probabilmente conosciamo bene perché si parla tantissimo del cosiddetto pay gender gap ossia della differenza retributiva tra uomini e donne così come delle ridotte possibilità di carriera per queste ultime.

Puntare sulla parità retributiva è sicuramente il primo passo; altre best practice che si possono mettere in atto riguardano la maternità. E questo sia che una donna stia cercando un figlio sia che ce l’abbia già.

Nel primo caso, in situazioni di fragilità, bisogna darle la possibilità di lavorare in smart working – per non dover sempre usufruire dei permessi o prendere giorni di ferie – così come se la lavoratrice si sta sottoponendo a terapie di procreazione assistita.

Così come capire quanto lo stato di gravidanza attesa o reale possa influire sul suo benessere psicologico (e lo psicologo in azienda, online o dal vivo, può dare una grossa mano).

Nel caso di chi è già madre, bisogna favorire il rientro al lavoro tramite l’orario flessibile, lo smart working – se possibile – ma anche grazie a spazi per l’allattamento, congedi parentali e, ove possibile, asili nido aziendali.

Alla diversità di genere presta molto attenzione anche il Credito Cooperativo. In particolare, iDEE l’Associazione delle donne del Credito Cooperativo, a marzo ha organizzato un convegno dal titolo “Diversità e Inclusione. Stato dell’Arte e prospettive per il Credito Cooperativo” per analizzare il livello di attenzione ai temi dell’inclusione nel sistema della cooperazione mutualistica di credito.

Come l’attenzione alla diversity migliora l’azienda

Il diversity manager ha un ruolo non solo nella valorizzazione delle diversità, ma anche nel contribuire a rendere l’azienda un luogo di lavoro attrattivo. Come evidenzia l’Employer Brand Research 2022 di Randstad, molti potenziali dipendenti guardano a come le aziende tengono in considerazione la diversità.

Lo fanno le giovani generazioni, certo, ma sono aspetti che stanno a cuore anche a figure senior che trovandosi a decidere quale offerta di lavoro valutare, a parità o quasi di stipendio, possono optare per un’azienda che punta su una particolare attenzione alle persone.

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