Stamattina i più coraggiosi sono andati a salutare i bambini della scuola Epp Batomé, vicino all’albergo. Coraggiosi per l’orario eh, perché qui le scuole cominciano alle 6 e 45 di mattina. Coraggiosi anche per l’impatto. Perché le scuole pubbliche di Lomé sono buie, scure, basse. Brutto dirlo, ricordano dei “pollai”. Ma i bambini hanno fatto – la fanno sempre – la differenza. Fieri di ricevere le nostre matite colorate, le nostre penne, i nostri quaderni. Forse avrebbero preferito delle caramelle, certo, ma hanno comunque mostrato tutto il loro entusiasmo. Sfrenato. Dilagante. Emozionante. Bene.

Perché oggi è una giornata dedicata alla formazione, proprio dei giovani.

Prima di andare al Centre de Réunion des poles Thématiques emploi des jeunes del CNEJ, in albergo ci fa visita Francis Waralouia, il direttore di APES, l’Associazione per un’economia solidale togolese. Partner storico del nostro progetto. Francis è giovane. Anche lui. Ma tanto, davvero tanto, Francis e APES hanno fatto e fanno per i giovani togolesi. Quelli più fragili, quelli che si sarebbero potuti perdere facilmente. Dando loro gli strumenti per cambiare: il lavoro, le opportunità di un impiego.
Anche il nostro autista, Esso, è uno dei “suoi” ragazzi. Che non si è perso. Ora ha una moglie, due figli e un lavoro da autista. Esso è Kabila, l’etnia del Presidente (potrebbe arruolarsi, il Presidente si circonda solo di persone della sua etnia. Ed essere dell’etnia del Presidente facilita ai posti di blocco). E’ timido, timidissimo, in questi giorni non ha mai parlato. Ma “non ha gli occhi tristi”.

E’ il momento di lanciare uno dei tre laboratori di imprenditorialità cooperativa elaborati per il 2023. Il percorso di oggi – realizzato anche grazie al contributo dell’Associazione Calabria Excellent ETS – prevede un corso di formazione di tecniche di grafica e design applicati a giovani imprenditori selezionati dalla rete della Maison des Cooperatives. Grazie ai corsi – gli altri due saranno un laboratorio di falegnameria e un corso base per pizzaioli – l’obiettivo è quello di dare un’opportunità ai giovani togolesi attraverso l’impresa cooperativa. Oggi c’è Elena in aula. Bravissima. Il corso, nei prossimi otto mesi, sarà tenuto anche da Maria Rosaria Adinolfi, graphic designer di ECRA, la casa editrice del Credito Cooperativo.

Gli studenti sono 14, dai 20 ai 41 anni. Misti, dodici uomini, due donne. Hanno tutti il proprio computer. Prendono appunti mentre Elena parla. Non mi ero ancora commossa così tanto come oggi, lo devo dire. Perché loro mi commuovono. Sono belli, belli e pieni di sogni. Hanno aspettative. Chi in Italia, a quell’età, guarda con quegli occhi il proprio insegnante? C’è tutto lì dentro. Il bisogno. E la forza del desiderio di riscatto. Sì. Perché loro sono nati in Africa, in Togo, a Lomé. Sono qui, devono essere qui, per cambiare. Devono e vogliono cogliere questa opportunità. E’ grandioso e drammaticamente “ingiusto” allo stesso tempo. Spero che si capisca cosa intendo.

Un momento della lezione del laboratorio di grafica e design

“In Togo c’è bisogno di formazione. Oggi per i giovani è l’unica, indispensabile strada per migliorare la loro vita. Il loro Paese”. Roberta Girgenti è una bolognese che dirige la Casa Italiana in Togo. Si è trasferita qui otto anni fa, il marito è togolese. Hanno due figlie, la più piccola è nata a Lomé. E’ stata chiamata per tradurre in francese il corso di oggi per i ragazzi. Lei, con il marito, ha creato un centro culturale importante. Non solo corsi di lingua ma anche attività culturali. Hanno una biblioteca fornitissima. Studenti universitari tra i 18 e i 30 anni. Le chiedo se sia contenta. Se abbia qualche dubbio. “Nonostante tutto, non tornerei mai in Italia, sto bene qui”.

Il corso di grafica continua anche nel pomeriggio. Noi approfittiamo per visitare il vicino mercato alimentare. Percorriamo strade impraticabili. Tante baracche. Per strada vendono merci senza soluzione di continuità con spazzatura, rottami, binari dismessi, legname e ferro. Il marché – questo non è turistico, è solo per i locali – è un’esperienza multisensoriale. A cominciare dalla valanga di pesce essiccato, nero, maleodorante. Lo devo dire, non è affatto invitante. Eppure, è uno dei prodotti che va per la maggiore. Ma poi ci sono i legumi. Fagioli, lenticchie. Arachidi. Semi di zucca. Tanti tuberi, manioca, igname. Le noci di palma. I semi, le foglie di patata dolce. Le donne sgranano il mais in grandi recipienti. E’ la prima volta da quando sono arrivata in Togo che vedo così tante donne anziane. La certezza che siano anziane non ce l’ho, per la verità. Parlano idiomi sconosciuti. Niente francese. Qui in Togo esistono 60 dialetti diversi. Anche se il francese è la lingua ufficiale (e l’inglese si studia a scuola perché da due anni il Paese è entrato nel Commonwealth). Compriamo la cannella. Anche una piccola scopa artigianale di foglia di palma. E andiamo via. Il caldo oggi è insopportabile.

Verso l’unica fonte di acqua potabile (Lomè)

E’ il momento di incontrare la CTOP, l’ente di rappresentanza delle organizzazioni contadine togolesi. Una sorta di Coldiretti africana. Sono nostri partner fin dal 2012, quando il pool di sei Banche di Credito Cooperativo italiane si resero disponibili per sperimentare un’offerta di credito di medio-lungo termine in zone rurali. Le origini del nostro progetto. “Abbiamo dieci anni di percorso insieme, se pur accidentato, ma rimane la volontà di continuare ad andare avanti insieme”. Arthur è il segretario esecutivo. Uno dei giovani quadri competenti e preparati. E “puliti” dice Ignace. Ha grandi denti, un sorriso disarmante, camicia e pantaloni dai colori cangianti.

Foto di gruppo con i dirigenti del CTOP (Ente di rappresentanza delle organizzazioni contadine togolesi)

Ci sediamo davanti a loro. Sono in sette, c’è anche il presidente del Consiglio di Amministrazione. E’ lui che inizia a parlare. La CTOP conta oggi 20 Federazioni di cooperative rurali (coltivazione di cereali, frutta e verdura, coltivazioni di caffè e cacao, pesca, trasformazione di materie prime agricole…). L’organizzazione in questa fase si sta concentrando sui servizi economici che può offrire alle associate per supportare la loro crescita. Con una grande attenzione agli effetti e all’impatto del cambiamento climatico sulla produzione. “Ora – ci dice – guardiamo al futuro con la consapevolezza di quello che abbiamo lasciato alle spalle in questo percorso comune”. E’ una bella realtà. Hanno un grande lavoro davanti a loro. Guardo la bacheca alle loro spalle: tanti i prodotti agricoli togolesi da commerciare. E non solo destinati al commercio locale. Ci vengono a salutare fuori dalla porta. Per la verità in questi giorni lo hanno fatto tutti. Abbracci, foto. Ora si va da Salami, uno dei loro affiliati che “ce l’ha fatta”. Anche grazie al nostro progetto.

Salami Layi ha la sua ditta in una zona non turistica di Lomé. Mi piace questo quartiere. Ne misuro la qualità della vita sulla base dei sorrisi degli abitanti. Qui mi pare che sorridano tutti. C’è la fila per prendere l’acqua dall’acquedotto pubblico. Sotto il getto con la ciotola sulla testa. Ecco come prendono l’acqua. C’è chi fa più tragitti e torna a riempire la sua ciotola. Dall’altra parte della strada, il coiffure et tresse La Grace Divine. Sono in otto, ragazze giovani intorno alla cliente seduta sul marciapiede , ad applicare treccine riccissime ai capelli. Uno spettacolo. Ci sorridono e ci invitano ad entrare. Non credo che invitino anche noi a farci le extension afro, ma il dubbio rimane.

Un momento dell’incontro con Salami Layi, produttore di succhi di frutta “Junabio” senza additivi o coloranti.

I bambini stanno tornando a casa dalle scuole. Sono tantissimi, si muovono in piccoli gruppetti, i più grandi aiutano i piccoli a portare gli zaini. Riempiono le strade con le loro divise color deserto.

Noi entriamo da Salami. E’ un imprenditore. Quarantenne. Produce i succhi di frutta Junabio, senza additivi, senza coloranti, senza conservanti. Il principio è quello di sfruttare e trasformare la materia prima di cui il Togo è ricco. Commercializzare (anche fuori del Paese, in Burkina, in Mali). Garantire il lavoro (lui impiega 12 persone). Nel 2012-2013 Salami riceve dalla rete di casse rurali togolesi FECECAV (Faitière des Entités de Caisses dè Espargne et de Crédit des Associations Villageoises) un finanziamento di 30 mila euro. E’ la prima fase del nostro progetto di finanziamento dell’agricoltura per la sicurezza alimentare. Salami compra i macchinari necessari per la trasformazione, restituisce tutti i finanziamenti e continua la sua crescita. E questa è la storia fino ad oggi. Ha bisogno di un ulteriore sviluppo. Il suo obiettivo – da imprenditore cooperativo – è quello di evitare l’abbandono delle campagne, di garantire lavoro, di dare valore alle materie prime del territorio. “Non posso fallire, ho la responsabilità di essere diventato un modello da imitare”. Ci mostra la catena di produzione, è tardi e stanno già pulendo i macchinari. Le bottiglie di vetro sono nei grandi bollitori. Mettono da parte gli scarti. Ananas, tamarindo, zenzero, mango, palma.
Io bevo il succo di ananas e zenzero. Lo zenzero in purezza, per la verità, brucia il palato e fa venire le lacrime agli occhi. Ma è buonissimo.

Dobbiamo scappare. Si parte per Kpalimé, a 120 chilometri da Lomé, al confine con il Ghana. Tra le colline boscose della regione del cacao e del caffè. Domani altri incontri. Ci aspettano le donne.

(4. continua)

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