Prosegue, sul mensile “Credito Cooperativo”, l’inchiesta sui costi ed i valori delle riforme.

Le riforme istituzionali sono – infatti – uno dei dossier centrali anche di questa legislatura. Da sempre (almeno dal 1983 con la “Commissione Bozzi”, la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali) considerate in linea di principio un passaggio ineludibile per la nostra democrazia. Nei fatti, accantonate per la difficoltà di accordi condivisi e per l’insorgere di altre priorità (in questa stagione il contesto economico condizionato dalle gravi incertezze geopolitiche).

La domanda che ci si pone è: ci saranno effetti economici se non si metterà mano a quelle riforme spesso descritte come lontane dagli interessi concreti degli italiani?

Al riguardo il Professor Giovanni Tria, economista e ministro dell’Economia del primo governo Conte, non ha dubbi: “Le riforme istituzionali servono al rilancio dell’economia e delle finanze”. Gli effetti economici ci sono, eccome. E il tempo per pensare alle riforme istituzionali c’è, o comunque bisogna trovarlo. “Nel periodo di crisi le disfunzioni istituzionali producono, o vengono evidenziati, i maggiori danni. Ed emergono le impreparazioni e le inadeguatezze”.

Entriamo nel merito, Professore. La prima riforma istituzionale a cui il governo Meloni sta mettendo mano riguarda l’autonomia differenziata. Quali sono i rischi e quali le opportunità?

“Di autonomia differenziata si parla da molto tempo. il giudizio dipende dall’attuazione di leggi che già esistono e che non sono mai state attuate. sono i dettagli che definiscono gli effetti. Come per tanti altri temi questo scontro è dominato essenzialmente da considerazioni di schieramento politico, senza la voglia di entrare nel merito. in senso generale l’autonomia differenziata è utile perché chi è in grado di fare meglio, lo possa fare. Non si tratta di ripartire in modo diverso le risorse attualmente impiegate nelle diverse regioni. Pensiamo alle regioni a statuto speciale. Alcune, come il Trentino, hanno raggiunto una maggiore autonomia ed efficienza man mano nella loro storia. Nel dibattito pubblico emerge con poca chiarezza che anche con l’autonomia differenziata è necessario avere un centro forte, in grado di svolgere ruoli importanti che non possono essere demandati alle regioni. Durante la pandemia, ad esempio, abbiamo verificato che non abbiamo una agenzia centrale che si occupi di ricerca nella sanità, di piani di emergenza”.

E cosa pensa del premierato come nuova forma di Governo?

“Il premierato risponde ad una esigenza di dare più stabilità all’Esecutivo. L’instabilità comporta politiche con orizzonte di breve periodo: non si possono fare riforme ma neppure progettare azioni di investimento per creare maggiore efficienza nelle strutture dello stato. il problema del premierato è come dare un ruolo al Parlamento. Per meglio dire: come ‘ridare’ questo ruolo, visto che il Parlamento già oggi non lo ha più, avendolo perso per motivi vari a partire dall’abuso di decreti legge e voti di fiducia, non su grandi scelte politiche ma su singoli provvedimenti. il vero tema è quello di impedire ribaltoni e cambi di maggioranza. Alla instabilità corrisponde il fatto che i Governi non hanno il senso della continuità dello stato. Le aziende invece hanno il senso della continuità aziendale: se cambia Ceo non decadono i contratti che ha fatto l’azienda. Quando si insedia un Governo decide che quello che ha fatto quello precedente non va bene. Comprensibile cambiare politiche: ma le decisioni prese, i contratti firmati, penso alla Tav, non possono essere ritirate, è distruttivo anche come reputazione internazionale oltre che per gli effetti economici immediati”.

Professor Tria, fin qui le riforme istituzionali. Tra quelle invece legate al PNRR quale ritiene sia la più importante per il rilancio della nostra economia?

“Ce ne sono tante, ma penso soprattutto alla riforma della giustizia. Dobbiamo renderci conto che uno dei maggiori ostacoli agli investimenti esteri in Italia è quello che nel mondo viene definito il “rischio legale”, quel misto di incertezze creato dalla lentezza delle procedure giudiziarie; dal continuo mutamento delle norme; dalla confusione tra diritto amministrativo, diritto civile e diritto penale, quelle aree grigie per cui si passa dall’uno all’altro. E soprattutto dall’imprevedibilità dei giudizi. L’Europa tiene a questa riforma non perché si preoccupa dei poveri cittadini italiani, ma perché se vogliamo il mercato unico dei capitali questi temi sono molto importanti”.

Professore, la Banca d’Italia afferma che la riforma del Credito Cooperativo ha permesso di preservare il ruolo di sostegno alle imprese nei territori di insediamento nel difficile contesto che ha caratterizzato gli ultimi anni. Condivide la valutazione? E per l’Italia del XXI secolo che valore può avere questo particolare modello di mutualità?

“Condivido questa valutazione. C’è bisogno di conservare e forse anche di recuperare questi aspetti di mutualità. Interventi che richiedono valutazioni specifiche che guardino ad un perimetro ben definito: in tempi di globalizzazione gli aspetti di mutualità e di solidarietà vanno riferiti a perimetri ristretti. si tratta di contemperare gli obiettivi cooperativi, limitando i possibili interessi personali devianti che si sono talvolta riscontrati in passato”.

LE PUNTATE DA RILEGGERE

Qual è il “valore economico” delle riforme istituzionali? /1 – l’intervista al giornalista e saggista Ferruccio De Bortoli.

Qual è il “valore economico” delle riforme istituzionali? /2 – l’intervista al professor Sabino Cassese (giurista, già Presidente della Corte Costituzionale).

Qual è il “valore economico” delle riforme istituzionali? /3 – l’intervista al direttore generale dello Svimez, Luca Bianchi.

Qual è il “valore economico” delle riforme istituzionali? /3 – l’intervista al presidente dell’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni italiani, Antonio Decaro.

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