In un momento in cui lavoriamo quasi tutti in smart working e le occasioni di incontro sono davvero limitate, la cooperazione tra i lavoratori diventa ancora più fondamentale. Sembra quasi un ossimoro mettere insieme cooperazione e isolamento, eppure quando gestire la quotidianità diventa difficile ed è faticoso portare a termine le scadenze, mandando avanti la propria vita personale, bisogna collaborare con gli altri.

E questa cooperazione può assumere svariate forme, diventando ad esempio una cooperativa con cui si dà valenza giuridica ad una dimensione di collaborazione, oppure un network tra persone che creano una rete di contatti e condivisioni come le associazioni. E cooperazione tra lavoratori è ogni volta che nascono dei team su un progetto e si innescano dinamiche collaborative tali da far diventare determinante il gruppo per la sua buona riuscita.

Cerchiamo allora di capire cosa significa cooperare, perché la cooperazione è così importante e neppure tanto scontata.

Cos’è la cooperazione tra i lavoratori e perché è importante

Se è vero che ogni persona è un’isola, come amava dire il poeta John Donne, è anche vero quello che dice il proverbio africano “Se vuoi andare veloce corri da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”.

Per crescere dunque è importante “mettersi insieme” agli altri, scegliere una direzione univoca e capire come raggiungerla. Il lavoro di squadra diventa essenziale per chiunque perché gli esseri umani sono naturalmente inclini all’egoismo e alla difesa personale, ma se non si inseriscono in contesti più ampi, difficilmente possono proseguire e mantenersi in vita.

Mettersi insieme agli altri, scegliere una direzione univoca e capire come raggiungerla

Le persone che collaborano e ancor di più, cooperano (più avanti vedremo la differenza tra i due termini), lavorano insieme per realizzare qualcosa di meglio rispetto a ciò che potrebbero fare da soli.

Dunque, va da sé che collaborazione sia spesso sinonimo di qualità, efficienza e crescita. Tutti sostantivi con un’accezione positiva.

Come scrive Michael Schrage, ricercatore e docente del MIT, “la collaborazione consiste nel condividere l’azione di creare: due o più persone con caratteristiche proprie, interagiscono per creare una comprensione condivisa della materia sulla quale stanno lavorando, che nessuno in passato ha avuto o potrà avere in futuro, se deciderà di agire da solo”.

Collaborazione è anche trovare vie insperate e impossibili da percorrere in solitudine. E questo perché si mettono a fattor comune conoscenze, competenze, esperienze, informazioni, risorse e tempo. Per raggiungere un obiettivo prefissato o scoprirne altri, strada facendo.

Si aprono nuovi orizzonti, si realizzano prodotti migliori, nascono nuove linee di business, servizi che rispondono alle esigenze dei clienti, in modo totalmente diverso a quanto si è fatto prima. Così come nascono aziende, associazioni, nuove realtà. Ecco perché è fondamentale che non sia “spontanea”, ma è necessario progettare la collaborazione, renderla un processo strutturato, definirne i vari aspetti.

La differenza tra collaborazione e cooperazione

Collaborare non è la stessa cosa di cooperare, perché la cooperazione è l’unione del lavoro di più persone che osservano un metodo per raggiungere uno scopo condiviso, mentre la collaborazione è più un’istanza, un modo di fare, che può portare o meno alla cooperazione.

Prendiamo un esempio dalla quotidianità, come quello di una madre che chiede al figlio di collaborare nella pulizia della sua stanza. Se la collaborazione non è saltuaria e viene definito un metodo di lavoro che prevede lo svolgimento di determinati compiti in condivisione con la madre, per raggiungere l’obiettivo, definito e quantificato, di tenere pulita la stanza, allora possiamo parlare di cooperazione, una vera e propria struttura di interazione.

La cooperativa

La cooperativa è una società a capitale variabile con scopo mutualistico. Vale a dire che, rispetto alle imprese tradizionali che possono essere proprietà di un gruppo di persone o a conduzione familiare, è formata da soci che si uniscono per realizzare scambi a condizioni più vantaggiose di quelle che avrebbero se agissero da soli.

Le cooperative possono cambiare a seconda del rapporto mutualistico. Secondo la legge ne esistono di tre tipi: di consumo e utenza, quando i soci sono consumatori dei beni acquistati dalla cooperativa o ne sono utenti, di lavoro quando si uniscono per portare avanti un progetto e creare condizioni di lavoro migliori e di supporto, quando vendono sul mercato beni e servizi offerti dai soci che compongono la cooperativa.

Le Banche di Credito Cooperativo (BCC) sono invece cooperative di credito costituite da soci, mutualistiche (erogano il credito prevalentemente ai soci), espressione delle comunità locali che raccolgono il risparmio in una determinata zona di competenza e lo reinvestono nella medesima zona (generando così meccanismi virtuosi di sviluppo). Le BCC, alla pari delle altre cooperative mutualistiche, non redistribuiscono gli utili ai soci (se non in minima parte), ma li destinano a rafforzare il patrimonio, a sostenere i fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione, ad attività di beneficenza e promozione sociale.

La cooperativa è una società a capitale variabile con scopo mutualistico

Soprattutto, in una cooperativa tradizionale (di produzione/lavoro soprattutto), il socio è allo stesso tempo sia lavoratore che “proprietario”. Una formula che ha consentito, e consente tuttora, di venire incontro – con successo – a situazioni di crisi . Non sono poche, difatti (soprattutto nell’ultimo periodo) le storie di aziende in difficoltà che vengono salvate dai dipendenti, trasformando la loro forma giuridica da Spa o Srl a cooperativa.

In questi casi ci viene in aiuto un termine inglese, workers buyout, quando gli ex dipendenti formano una cooperativa per ridare vita ad un’azienda che non avrebbe altrimenti futuro, diventando essi stessi imprenditori.

Relazioni basate sulla reciprocità, cooperare per creare qualcosa di nuovo e migliore per il territorio, sono dei mantra per le BCC, che vivono in simbiosi con le comunità locali, di cui ne condividono caratteristiche, problemi, speranze, opportunità. Per tornare al tema dei workers buyout, non sono rari i casi di iniziative avviate e sostenute proprio dalle BCC. E come potrebbe essere altrimenti?

Il network

Quando si parla di cooperazione, anche se siamo lontani dal mondo cooperativo, non possiamo poi non parlare dei network.

Al giorno d’oggi ne nascono sempre di più e questo grazie al fatto che con questa parola di matrice inglese si intende la capacità di creare una rete di relazioni professionali, tale che venga mantenuta nel tempo e sia basata sulla fiducia reciproca. Tant’è che network, spesso diventa networking, ossia creare le condizioni perché questo avvenga.

Significa dunque instaurare con delle persone una relazione grazie alla quale si ha uno scambio di idee, consigli, informazioni e contatti. Una sorta di circolo virtuoso che funziona fino a che tutte le persone sono pronte a dare qualcosa e non solo a ricevere.

La capacità di creare una rete di relazioni professionali, mantenuta nel tempo e basata sulla fiducia reciproca

Un network, che può diventare un’associazione, è dunque una rete di collegamenti che diverse volte può portare a cooperare.

Succede quando persone che lavorano in ambiti diversi si mettono insieme per soddisfare le esigenze del cliente, senza che siano costituite in società.

Persone che possono cooperare solo per quel progetto o trovarne altri: ognuna manterrà la propria ragione sociale, ma si struttureranno per essere in grado, in base alle diverse competenze, di portare avanti progetti insieme.

Ciò succede spesso tra i freelance. Non a caso nel 2017 è nato il Freelance Network Italia che da qualche anno è diventato un’associazione. Riunisce al suo interno professionisti della comunicazione di vario tipo che spesso si trovano a seguire progetti insieme, mettendo a fattor comune esperienze, competenze e informazioni. Anche questa, una forma di cooperazione.

Il lavoro di squadra

Cooperare significa, infine, fare un lavoro di squadra e questo può succedere oltre che nei network, anche dentro le aziende. Il lavoro in team però non deve essere mai dato per scontato e si devono creare tutte le condizioni per cui non sia “calato dall’alto”, ma sentito da tutti coloro che lo fanno.

Se è la condizione necessaria per raggiungere traguardi e crescere, c’è da dire che è fondamentale che si basi sulla fiducia, non progettata a tavolino, ma “allenata”. Spesso l’errore in cui incorrono i manager quando creano team di lavoro, è di non partire da questo presupposto e creare invece dei team solo in base alle competenze tecniche. È invece sempre più importante puntare sulle competenze trasversali e capire come queste si possono incastrare tra di loro. Inutile mettere insieme persone solo orientate al risultato, che tralasciano la relazione, perché potrebbero esserci degli scontri. Meglio scegliere persone con caratteristiche diverse e creare dinamiche collaborative.

In questo, conta ovviamente molto la comunicazione aperta e trasparente con tutti i membri del gruppo e avere da supporto strumenti operativi che favoriscano la cooperazione, ma che non abbiano la presunzione di crearla.

La cooperazione va sempre progettata prima e solo successivamente si devono trovare le soluzioni, non viceversa. Non è lo strumento che risolve tutto, ma è come le persone lo usano per raggiungere un obiettivo comune e condiviso, che porta alla soddisfazione di tutti e alla buona riuscita del progetto.

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