Non trovare lavoro o non poterlo più gestire perché l’azienda si trasferisce in un’altra città, oppure doverlo abbandonare per via dei figli o di familiari che hanno bisogno di assistenza: i motivi per cui ci si può reinventare possono essere diversi.
In tutto questo sta prendendo piede in Italia la microimpresa domestica, ma se state pensando che basti trasferire un lavoro dall’ufficio alle mura casalinghe per parlare di microimpresa domestica, sappiate che non è affatto così. Avviarla è molto più complesso di quanto si creda e prevede una serie di tappe che non si possono trascurare.
Vediamo dunque come fare, qual è la normativa, parlandone anche con Alice Agus di Mamma che bontà, che ha avviato la sua attività di pasticceria artigianale nella cucina di casa nel gennaio 2020, qualche mese prima del lockdown

Cos’è una microimpresa domestica

Intanto, iniziamo a capire cosa si intende per microimpresa domestica. Fermo restando che si tratta di un’attività che si svolge all’interno della propria abitazione, è la possibilità di fare imprenditoria senza avviare un’impresa in modo tradizionale.
Si tratta quindi di un’attività di lavoro indipendente che prevede l’iscrizione alla Camera di Commercio e l’apertura della partita IVA, ma non solo.
Intanto, se provate a cercare online “microimpresa domestica”, vedrete che molti siti associano a queste due parole anche l’aggettivo “alimentare”, perché la maggior parte delle microimprese a casa ha a che fare con il cibo.

Fare imprenditoria senza avviare un’impresa in modo tradizionale

In realtà, anche chi vuole avviare un’attività che non c’entra nulla con la cucina può farlo. Questo perché la microimpresa domestica afferisce sostanzialmente al settore dell’artigianato e secondo l’articolo 2083 del Codice Civile, i piccoli imprenditori rientrano nella categoria degli artigiani, ma quello che conta, come dice la legge n.443 dell’8 agosto 1995, è che:

“È imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”.

Nell’articolo 3 si precisa poi che è “artigiana l’impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano nei limiti dimensionali di cui alla presente legge, abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all’esercizio dell’impresa”.

Detto questo, all’interno del settore artigianato ci possono essere gli abiti fatti in casa, così come gli alimenti per cani, o per l’appunto, le microimprese domestiche alimentari, vale a dire IAD (Impresa Alimentare Domestica).

Com’è nata la microimpresa domestica e la situazione in Italia

Intanto, non si tratta di una modalità ancora così diffusa e, come spesso accade, proviene dagli Stati Uniti. Si è poi sviluppata in Europa nel 2004, quando è stata riconosciuta dall’Unione Europea con il regolamento n.852, che prevede “una figura giuridica per tutti coloro che svolgono attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei familiari”.

Nel 2014 è arrivata anche in Italia, anche se solo gli ultimi 2-3 anni hanno visto nascere tante attività.

Il Covid-19 sicuramente ha fatto la su parte, perché molte persone sono rimaste senza lavoro ed in particolare, sono le donne-mamme ad avviare attività di questo tipo.

Associazioni organizzano webinar, corsi, fanno consulenza e danno supporto

Trovare dei numeri in merito per quel che riguarda il territorio nazionale non è facile. Quelli che siamo riusciti a reperire sono dati da Cucina Nostra, un’associazione che aiuta chi vuole aprire una microimpresa domestica alimentare. Sul sito ne abbiamo contate 74 e sono di varia natura.

C’è chi produce piadine, chi pasta fresca, chi pasta secca, chi torte e dolci in modalità cake design, chi ancora verdure cotte, vellutate, burger vegetariani e così via. Se date un’occhiata alla pagina, la maggioranza di queste IAD si trova al Nord, anche se ce n’è qualcuna in Umbria, nel Lazio, in Calabria, in Sicilia e in Sardegna, ma sono meno rispetto al Settentrione. Ad averle avviate sono per lo più donne.

Un’altra associazione che dà una mano ad aprire una IAD, è IAD Italia che, come si legge sul profilo Facebook, raggruppa le imprese alimentari domestiche per la produzione e la vendita di alimenti realizzati nella cucina di casa, nel pieno rispetto delle norme igienico sanitarie di HACCP.

Entrambe le associazioni organizzano webinar, corsi, fanno consulenza e danno supporto a chi voglia cimentarsi nell’impresa.

imprese alimentari domestiche — Foto di Ivan Samkov da Pexels

Cosa serve per avviare una microimpresa domestica

Fermo restando che in Italia non c’è una normativa nazionale, ma che sono le varie regioni a regolare tutto, per avviare una microimpresa domestica e in particolare nel settore alimentare, bisogna ottenere la certificazione HACCP tramite la frequentazione di un corso ad hoc.

Tale certificazione dimostra che chi gestisce la sua microimpresa domestica ha conoscenze relativa alla microbiologia, alla conservazione degli alimenti, sa come igienizzare le strutture e le attrezzature e in generale sa prestare attenzione a tutto quello che garantisce la corretta igiene alimentare.

Ottenere la certificazione HACCP tramite la frequentazione di un corso ad hoc

Per avviare la propria microimpresa, bisogna poi fare domanda al SUAP, sportello unico attività produttive, inviando la SCIA, ossia la segnalazione dell’inizio delle attività. Inoltre, come segnalato sul sito di IAD Italia, è importante avere una planimetria redatta da un geometra o architetto, nella quale sono indicati i locali da notificare per la IAD, le loro metrature e la suddivisione dei mobili in base all’uso.

Poi, occorre aprire partita IVA: se la si ha già, si può parlare con il commercialista per inserire il codice Ateco della nuova attività, altrimenti si può individuare il proprio codice. Infine, bisogna iscriversi alla Camera di Commercio.

Si può avere un’attività domestica anche se si fa un altro lavoro, purché nel settore privato, mentre nel pubblico non è possibile.
Per una microimpresa domestica alimentare, va da sé che la cucina è fondamentale pertanto, bisogna prevedere un investimento iniziale se quella presente non è adeguata o sono necessari dei lavori. Inoltre, molto dipende dalla regione in cui si avvia l’attività: ognuna interpreta il regolamento europeo a suo modo, quindi tocca informarsi bene in Comune o in Camera di Commercio.

Un importante contributo ai finanziamenti iniziali può venire dal microcredito, che riconosce prestiti piccoli a seconda dell’esigenza e fino a un massimo di 40mila euro. Questo vale anche per chi è cliente o socio di una Banca di Credito Cooperativo o Cassa Rurale. Ricordiamo a questo proposito anche l’intesa siglata tra ICCREA Banca e l’Ente Nazionale Microcredito, in forza della quale i clienti delle BCC aderenti al Gruppo Bancario Cooperativo Iccrea possono usufruire della consulenza specialistica di tutor ad hoc.

La storia di Alice Agus, ideatrice di “Mamma che bontà”

Avviare l’attività non è così immediato, come ci spiega Alice di “Mamma che bontà”, 43 anni e 2 figli (1 di quasi 9 anni e l’altro di 3): “Nel mio caso, da quando ho cominciato a informarmi, a quando ho aperto l’attività, è passato circa un anno e ho dovuto modificare la mia cucina secondo quanto diceva la normativa. Anche se la mia, rispetto alle altre case milanesi (la sua attività si svolge a Milano e provincia, ndr), è più ampia e con forma quadrata”.

Alice si è trovata per caso a diventare esperta di dolci e cake design. Inizialmente lavorava nel settore della comunicazione. “Dopo che ho avuto la prima figlia, l‘agenzia si è trasferita in un’altra città e io non potevo seguirla (anni fa lo smart working non era così diffuso). Tramite un’amica, ho iniziato a lavorare come redattrice con “Fattore Mamma”, agenzia di comunicazione focalizzata sul target mamma e famiglia, e nel frattempo ho ‘recuperato’ un mio sogno che era quello di dedicarmi alla pasticceria. Ho seguito un corso professionale, facendo uno stage in una nota pasticceria milanese per avere le basi e da lì ho poi iniziato a capire quello che avrei voluto fare. Non ho subito pensato alla microimpresa a casa, prima volevo aprire un laboratorio di pasticceria, ma non mi avrebbe consentito di conciliare l’essere mamma con il lavoro”.

La cucina diventa il vero e proprio luogo di lavoro

Per Alice l’appoggio di IAD Italia è stato importante, perché l’ha messa in contatto con il referente per il corso HACCP.

Tornando alla cucina, che è fondamentale per un’impresa di questo tipo, “è necessario avere una parte dedicata soltanto all’attività dove metti gli alimenti che servono. Le stoviglie possono essere anche ad uso promiscuo, mentre tutte le materie prime devono essere in scaffali e contrassegnate con etichetta, con un frigo dedicato solo alla pasticceria, oltre all’attrezzatura necessaria. Bisogna poi gestire tutto in modo serio e puntuale: la cucina quando è dedicata all’attività diventa l’ambiente di lavoro e nessuno può entrare, ecco perché nel mio caso lavoro la mattina quando i bambini sono a scuola e la notte. I miei figli, quando mi vedono in tenuta da lavoro con il foulard in testa e in divisa, sanno che per loro l’accesso è “off limits”. Non è necessario indicare orari perché è un’attività indipendente, ma averli consente di gestire meglio il tutto. Ovviamente il laboratorio non è aperto al pubblico, gestisco l’attività tramite i social, il telefono, la mail e facendo la consegna a domicilio. Ho iniziato con i dolci per bambini, ma sono sempre più gli adulti che mi chiedono torte per ricorrenze varie”.

Ci sono poi differenze importanti rispetto al laboratorio tradizionale: “chi ha un’attività simile, oltre a emettere la ricevuta, deve dare al cliente sempre la lista degli ingredienti con gli allergeni per sapere cosa c’è dentro al prodotto. Invece, nel laboratorio tradizionale c’è solo il libro degli ingredienti che il cliente può decidere di consultare o meno”.

Quanto all’abitazione, che è la sede lavorativa, si può anche avere una casa in affitto, ma quel che conta è “risiedere o essere abitualmente domiciliati allo stesso indirizzo in cui si apre l’attività”. Inoltre, non si può aprire l’attività in scantinati, soffitte o garage.

L’importanza del personal branding e il rapporto personale con i clienti

Altra cosa da non trascurare, è tutta l’attività che è connessa al trovare i clienti o a farsi trovare, quello che si chiama personal branding. Per chi ha una microimpresa domestica, il lavoro non è certo da meno rispetto a un’attività “tradizionale”.

Ci spiega Alice: “I clienti arrivano dal passaparola e dai social. Ecco perché non posso trascurare le foto su Instagram e su Facebook, ma anche quello è un lavoro: l’inquadratura giusta, il testo e così via. In questo mi aiuta la mia esperienza di comunicatrice, ma c’è di più: rispetto ad una pasticceria classica, in cui il cliente entra e vede una torta e tutto finisce in 2 minuti, per la mia attività si crea un rapporto personale, studi il prodotto insieme, nascono amicizie e tanto altro. Sono persino arrivata a fare corsi di pasticceria online. Tutto questo poi mi ha permesso di lavorare in questo periodo difficile, sono stata ferma solo i primi 2 mesi del lockdown nel 2020, per mia scelta e ora ne approfitterò per fare qualche mese in Sardegna. Una cosa importante: mentre sarò nella mia regione di origine, non potrò lavorare perché l’attività domestica è legata alla casa dove la fai, non la porti con te”.

E quanto ai prezzi? “Anche questo è un discorso importante, il cake design richiede tanto lavoro e rispetto ad una pasticceria che fa economia di scala, non abbatti i costi delle materie prime e inoltre, il lavoro artigianale richiede tempo e attenzione per poter essere davvero conosciuti e apprezzati dai diversi tipi di clienti”.

Quella della microimpresa domestica è pertanto un’attività imprenditoriale a tutti gli effetti di cui bisogna valutare attentamente, prima di aprirla, quali sono i costi, il tempo da dedicare, gli spazi da mettere a disposizione e la capacità di saper curare il proprio personal branding. Un mondo tutto da scoprire, ma che sicuramente risponde alle esigenze di chi vuole mettersi in gioco, iniziando da casa propria.

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