“Verso la piena sottoccupazione. Come cambia il lavoro in Italia” è il titolo del volume, curato da Raffaele Brancati e Carlo Carboni ed edito da Donzelli, presentato il 20 marzo, a Roma, presso Unioncamere.

Una prospettiva differente sulla realtà del nostro mercato del lavoro, offrendo nuove chiavi di lettura.

COME CAMBIERA’ IL MONDO DEL LAVORO

Il volume offre una lettura approfondita del mondo lavorativo italiano e dei cambiamenti in atto, con un occhio puntato sul futuro. Dal lavoro precario al salario minimo, dall’occupazione femminile alla disoccupazione giovanile, dall’aumento dell’età lavorativa al rapporto tra vita e lavoro.

Analizzando gli ultimi dati disponibili, gli autori evidenziano come il mercato del lavoro nel nostro paese appaia in crescita: aumentano gli occupati, cresce la presenza femminile e la disoccupazione è in calo. Non solo il numero di lavoratori sembra essere maggiore, ma il tempo dedicato al lavoro sembra ridursi. Ma è davvero così? Quali sono le reali caratteristiche dell’occupazione in aumento? E qual è la situazione in termini di salari e diritti?

«Dall’inizio del nuovo secolo – si legge nel libro – in Italia si è alimentata un’illusione: quella di essere diretti verso la piena occupazione. Si tratta, appunto, di un inganno. Se si analizzano i numeri, emergono una realtà diversa e una tendenza opposta: in questi anni si è assistito nel nostro paese a una rapida crescita non di un’occupazione dotata di stabilità e tutele, ma della sottoccupazione, con forme e tipi di lavoro frammentato e vulnerabile. Una sottoutilizzazione delle persone in ore, istruzione e competenze».

UNA CULTURA DEL LAVORO NON PIU’ ADATTA AI NOSTRI TEMPI

L’incontro è stato occasione per un dialogo con esperti del settore e rappresentanti delle istituzioni, per riflettere sul destino del lavoro in Italia. Ne hanno discusso con il curatore Raffaele Brancati: Carlo Borgomeo, socio fondatore di Borgomeo & Co.; Sergio Gatti, direttore generale di Federcasse; Federica Pintaldi, dirigente di ricerca Istat; Maurizio Mumolo, vicepresidente del Forum nazionale del Terzo Settore; Alberto Caporale, vicesegretario generale di Unioncamere.

Tra gli argomenti emersi, le nuove dinamiche lavorative, in particolare riguardo i giovani, che hanno un approccio con il mondo del lavoro molto diverso da quello delle generazioni precedenti, e per i quali il lavoro non ha lo stesso valore e la stessa “attrattività”. È stato evidenziato come occorra cambiare la cultura del lavoro, che non è più adeguata ai tempi che stiamo vivendo.

“La cultura del lavoro – ha affermato il direttore generale di Federcasse Sergio Gatti – che sembra debba avere solo il lavoratore o la lavoratrice, deve in realtà averla anche chi decide le politiche del lavoro, i responsabili, chi negozia i contratti collettivi nazionali che vanno fortemente rinnovati. Perché non è più scontato che alcuni temi siano ancora considerati attraenti per le nuove generazioni. Va cambiata anche la cultura del contratto collettivo del lavoro, che è già preziosa, e noi siamo tra coloro che devono contribuire al cambiamento”.

È stata sottolineata inoltre la gigantesca trasformazione dettata dall’impatto delle nuove tecnologie, che porta con sé problemi di competenze, di mismatch generazionale, di disuguaglianze geografiche e di genere.

Un mercato del lavoro con grandi problemi strutturali – non ultimo l’invecchiamento della fascia delle persone in età lavorativa, che cresce più velocemente rispetto all’invecchiamento della popolazione – che registra un record di occupazione per gli ultracinquantenni e, al contempo, un calo dell’occupazione dei giovani. E con forti fragilità interne, che hanno portato l’Italia ad essere il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda l’occupazione femminile.

Ad offrire uno spiraglio è l’Economia sociale, con il Terzo Settore, che con oltre 1.600 occupati e 4 milioni e mezzo di volontari potrebbe giocare un ruolo importante proprio nel coinvolgere le fasce considerate più fragili dal punto di vista occupazionale, le donne, i giovani e coloro che vivono al Sud. In modo da contribuire a colmare le disuguaglianze delle tre “g”: di genere, generazionale e geografica e ridare un “senso” collettivo al valore del lavoro.

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