Che economia sarà quella che ci attende al termine della pandemia? C’è il rischio di quella che possiamo definire “un’economia della solitudine”. Una eventualità che preoccupa e che il direttore di Federcasse, Sergio Gatti, analizza nel suo intervento sul numero di febbraio del magazine “Vita”.

Quella povertà che significa solitudine

Citando l’economista britannica Noreena Hertz, Gatti sottolinea come sia importante mettere in campo “grandi investimenti per diversi anni in educazione, previdenza sociale, assistenza sociale, assistenza sanitaria”. Interventi necessari, in Paesi come l’Italia, anche prima del febbraio 2020. “Si tratta di spesa pubblica – spiega -, quindi di debito da continuare a contrarre. Anche quando il programma Next generation Ue fra cinque anni sarà terminato. E non a caso, tra gli obiettivi di Italiadomani (il nostro Pnrr) l’intreccio investimenti riforme è evidente. Ma non va considerato congiunturale, non può essere affrontato con prospettiva solo quinquennale e non può non riorientare l’asse in modo progressivo e strutturale”.

Il vero nodo della questione è la crescita di “vecchie e nuove forme di povertà”, talvolta “concentrate nelle stesse persone (milioni)” e che “significano solitudine”. La solitudine è una “realtà all’interno di un ecosistema”. Per combatterla c’è bisogno di un cambiamento “sul piano economico, politico e sociale e di prendere atto al tempo stesso della nostra responsabilità personale”.

Contro la crisi di solitudine servono nuove metriche

Secondo Gatti, “le soluzioni nate nella storia attorno alle comunità non solo nei borghi e nei piccoli centri, anche nelle periferie dimostrano che un “capitalismo collaborativo” può dire la sua. Scuole, cooperative di comunità, ospedali di comunità, banche di comunità, comunità energetiche: sono radici e germogli di un certo modo di impostare la vita dei cittadini e l’economia”.

Ma ciò che occorre sé anche una “nuova metrica per decidere e verificare le politiche e gli obiettivi di bilancio”. Un riferimento al progetto per misurare il Benessere equo e sostenibile (Bes), che dal 2016 è entrato a far parte del processo di programmazione economica. Eppure, “solo un set ridotto di indicatori” è presente in un allegato del Documento di economia e finanza (Def).

“Le forze vive della società civile – sottolinea – possono dedicare tempo ed energie maggiori affinchè il Bes possa diventare centrale nel dibattito pubblico e politico”.

Questo perché “la generatività ovvero la combinazione di creatività con la capacità di incidere positivamente su vita altrui incide positivamente sui percorsi di convergenza di una serie di variabili-chiave: resilienza, occupazione (soprattutto giovanile), crescita delle imprese e il benvivere.

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