La cura dell’ambiente è cura del prossimo. Massimiliano Ossini, brillante conduttore del programma di Rai 1 “Linea bianca”, fa sue le parole di Papa Francesco per sintetizzare il suo ormai indissolubile rapporto con la montagna. Un rapporto che vive con intensità semplice e trasmette con contagiosa passione. Anche nei suoi libri (l’ultimo “Le montagne rosa”, descrive con parole e immagini un viaggio alla riscoperta delle Dolomiti), e in una intervista al telefono, in viaggio mentre guida di ritorno da una riunione di lavoro. Il suo tono gentile, rilassato, amichevole sembra lo specchio fedele del mondo di cui Ossini è da anni testimone e comunicatore.

Distanziamento e sicurezza sono le parole d’ordine di questo nostro tempo. In alta quota lo sono da sempre. Come andrebbe vissuta la montagna in piena pandemia?

Intanto riscoprendo la montagna di prossimità, quella che abbiamo intorno, nella nostra stessa regione. Anche quelle più sorprendenti, penso alla Puglia con il suo Tavoliere e i boschi del Gargano. La pandemia è un dramma che ha dato l’occasione a ciascuno di noi di rallentare la corsa, di andare alla ricerca di se stesso e del prossimo. E allora il mio consiglio è di salire almeno una volta ogni due settimane ad ascoltare il silenzio, a toccare gli alberi, a ritrovare la semplicità delle cose davvero necessarie. Una vera e propria bombola d’ossigeno che ti ricarica. E in questo periodo possiamo capire ancora meglio il senso dell’espressione. In montagna possiamo aprire tutti e cinque i nostri sensi. Osservare attentamente, vedere davvero quello che in città semplicemente guardiamo. Peraltro a livello scientifico è dimostrato quanto questo stile di vita faccia bene alla salute e aumenti le difese immunitarie.

La montagna apre poi orizzonti diversi, è maestra di vita. Insegna a noi stessi e agli altri che cadere è fondamentale per rialzarsi, che il supereroe non esiste. Ti mette in rapporto con l’altro in modo diretto, senza barriere. Per rendere questa idea, in una puntata in cui parlavo dei luoghi del ritrovamento dell’uomo di Similaun ho “intervistato” Oetzi e gli ho chiesto: ma tu ti senti austriaco o italiano? Per farmi rispondere: “E che ne so, 5 mila anni fa qui non c’erano confini!”.

Nel programma che conduci su Rai 1 Linea Bianca quest’anno racconti appunto la montagna di prossimità, attraverso storie e persone che vivono il territorio. C’è una particolare che ti è rimasta nel cuore?

Sì, quella di una coppia di ragazzi di Padova. Entrambi con contratto a tempo indeterminato, quindi in una condizione quasi privilegiata. Ma evidentemente non di serenità, imprigionati forse in una routine scandita dalla fretta. Non riuscivano ad avere figli. Hanno avuto il coraggio di cambiare vita, si sono trasferiti in Trentino dove hanno aperto un bed and breakfast. Quattro mesi dopo lei è rimasta incinta ed è nata una bella bambina. Mi sembra una storia emblematica di come la montagna può aiutare l’uomo. Di come spiazza, di come scompagina positivamente la vita come accade quasi sempre per la scaletta del racconto televisivo elaborato prima.

La pandemia, tra l’altro, sta rimettendo al centro del dibattito pubblico il tema trascurato delle aree interne del nostro Paese. In base alla tua esperienza, cosa occorre fare per il loro sviluppo?

Secondo me occorre per prima cosa ascoltare chi è più avanti, fare tesoro delle buone pratiche e degli errori degli altri. Certamente in senso assoluto vanno portati o rafforzati i servizi, la banca, l’ufficio postale. E naturalmente trasporti, asili, scuole. Più in generale bisogna risolvere i problemi della banda larga e delle celle per i telefonini, altrimenti molte persone si tengono lontane da certe zone. Le aree interne hanno poi bisogno di nuove aziende che facciano rete e puntino alla qualità più che alla quantità.

Tu vivi ad Ascoli Piceno. Le Marche e il Centro Italia in generale fanno ancora i conti con il sisma del 2016. Per quello che puoi verificare con il tuo lavoro, a che punto siamo?

Ho fatto alcune puntate del mio programma in quelle zone. Nei miei continui viaggi tra Ascoli e Roma ho la situazione sott’occhio. E purtroppo è una situazione ancora triste. Ho incontrato una persona che era stata trasferita in riviera e ha avuto il coraggio di tornare. Ha provato a ristrutturare il suo edificio, ma la burocrazia gli ha frapposto mille ostacoli. Bisogna invece accelerare il processo di ricostruzione – l’esempio può essere la vicenda del Ponte Morandi – incoraggiando la tanta voglia di fare che c’è nella popolazione colpita. Persone che però non fanno rumore, protestano poco, anche perché lavorando spesso in aziende zootecniche, vivono a stretto contatto con gli animali, non possono lasciarli mai.

In questo tuo stretto rapporto con il territorio hai avuto modo di conoscere le banche di comunità? In che modo ritieni che questa realtà possa ancora più efficacemente aiutare il territorio?

Mi è capitato di lavorare spesso nel Nord est e di raccontare prodotti di quel territorio. Dietro quei prodotti c’è sempre la banca locale, strutture diffuse capillarmente nel territorio. È vero che la globalizzazione è un processo irreversibile. Tuttavia la dimensione locale è insostituibile. Il mio migliore amico lavora in banca, conosce tutte le aziende e tutti i clienti del territorio. Va a trovarli di persona, conosce le difficoltà, le aspirazioni, gli obiettivi. Di tutto questo cosa può sapere davvero uno che risponde al telefono da chissà dove?

L’intervista è tratta dal numero 12/2020 del mensile “Credito Cooperativo” (scaricabile gratuitamente dal sito della casa editrice ECRA) a questo link.

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